venerdì 12 aprile 2019

La verità


Sono le due e tutto intorno a me è silenzio. La stanchezza circola come un'ameba nelle vene e mi  offusca il pensiero. La pigrizia mi domina, ma cerco di vincerla. Vorrei terminare un sonetto caratterizzante la solitudine dello spirito. Mostrare lo spirito che si separa a poco a poco dalla natura e si esilia nella contemplazione interiore delle essenze metafisiche, mette a dura prova i pochi neuroni che ancora alimentano la mia mente. La prova è di 'rappresentare' e non definire. In fondo lo spirito ha una sola compagna: la verità. La insegue, attraversa l'involucro sensibile degli oggetti per raggiungerla oltre l'involucro, nel suo oscuro rifugio. La verità lo trascina, di astrazione in astrazione, in una specie di deserto dove più nulla ha consistenza, dove le forme svanite hanno lasciato di sé soltanto le proporzioni, dove sono divenute 'formule'. Ah, come le leggi matematiche relativistiche sono pallide, tetre, sinistre, implacabili. Inviolabili ai limiti conosciuti. Sono i fili che fanno muovere gli attori e le comparse di un grande teatro smarrito nell'universo. Tenui fili che compongono nella loro fredda armonia una specie di tela di ragno, in cui l'anima s'impiglia e allora l'ignobile mostro dell'inconosciuto, lentamente e inesorabilmente viene a roderla e a consumarla. Negletto chi mira la bellezza esteriore di un fiore  ignorandone la radice nascosta. In fondo, caro Gabriel - permettimi l'aggettivo dall'alto della mia veneranda età - esiste un'unica vera solitudine, origine di tutte le altre, la lontananza cui ci troviamo dalla ragione del mondo. E qui penso, verità inconsolabile,  non vi sia libreria che ne custodisca la rivelazione. Apprezzo molto le tue appassionate dissertazioni, dove si legge fra le righe uno spiccato acume intellettivo vestito di una vasta conoscenza enciclopedica. Tu mi parli giustamente di fisica e metafisica, creando un ciceone a volte condivisibile, bevibile con gusto, altre volte difficile da ingoiare per il semplice fatto che io sono io, tu sei tu e l'altro è l'altro. La speculazione di Cartesio la trovo ancora attuale, peccato che non abbia poi lasciato una valida definizione sull'uomo.  La citazione di Herman. H - (d’ogni verità anche il contrario è vero) -  l’ho mutuata per dire che una verità assiomatica non esiste, come non esiste una sola realtà. Ogni essere rappresenta la sua per ciò che è,  poi è costretto ad adeguarsi  all'imperativo kantiano (tu devi perché devi) per sopravvivere in una società strutturata piena di comandamenti. Per non dilungarmi oltre, oggi mi sforzo, con un certo successo, di vivere fuori dagli schemi, dove l'empirico, il sensibile, la politica e la religione non sono il mio primo nutrimento, altrimenti sarei già orizzontale difronte agli orrori e agli scempi dell'uomo attuale-inattuale. Ora ti lascio e torno alla mia solitudine spirituale, vero balsamo contro il deprecabile umano. (Scusa se ho scritto così tanto per dire così poco. W.G.) 

Con amicizia Sergio. 



sabato 5 gennaio 2019

Le terzine del 'Capisco e non Capisco'



Capisco perché leggo e scrivo 

non capisco perché lo faccio 

quando gli inesorabili istanti divorano tutto




Capisco la rosa
Di grazia curata
Per poche ore di sole

Capisco l'orchidea
Di Venere divino altare
Inesauribile calice di piacere

Capisco il vento
Quando alita leggero
Quando mugghia e sferza

Capisco la pioggia
Quando canta la sua ira
Quando sussurra la sua quiete

Capisco del gabbiano
Placido il batter d’ali
La grazia dei volteggi

Capisco d’ogni sguardo
La dolcezza della gioia
L’amaro cupo del dolore

Capisco l’animale uomo
Quando semina la vita
Non quando sparge la morte

Capisco la creatura donna
Che porta in grembo la vita
Della vita l’amore e l’amare

Capisco il pianto
Quando sorride per il vero
Quando finge per il falso

Capisco l’emozione
Che pensiero sublima lacrima
E stringe il petto e stordisce l’aria

Capisco la Poesia
Non del Bruto ma del Bello
Che dal nulla sublime nasce

Capisco la musica
Arcobaleno sonoro di un Dio
Che colora l’anima del cuore

Capisco la lontananza
Tutti sono lontani
Quand’anche sono vicini

Capisco la solitudine
Regina alata d’alto cielo
Tirannico Re d’antica natura

Capisco e non capisco
Se nel bacio e nell’abbraccio
Or nasconde il bene or il male

Se nasconde or il vero or il falso
Se cela l’odio o il tradimento
Se trama il perdono o la vendetta

Capisco e non capisco
Il tuo chiamarmi amore
Senza un bacio e una carezza

Capisco e non capisco l’amore
Motore che agita e ravviva la vita
Che uccide e resuscita la speranza

Capisco e non capisco la vita
Che s’affanna per durare
Che respira per non morire

Capisco e non capisco la morte
Instancabile ombra che cammina
Che l’istante oscura una sola volta

Non capisco l'odio e l'invidia
Sentimenti oscuri alle tre B:
Il Bello la Bellezza e la Bontà

Non capisco la felicità
Perché non la conosco
Ma capisco l'infelicità 

E tanto non capisco il nostro vivere
Di timore incertezza e ipocrisia
E capisco la tristezza del non vivere.

Ieri non capivo e pensavo di vivere

Oggi capisco che lavoro per non morire.


lunedì 24 dicembre 2018

Natale del piccolo Jonathan



"Nonno, giorni fa a scuola la maestra ha parlato della vista. Alla fine ha detto che gli occhi possono vedere tutto. Che nulla può nascondersi là dove si posa la vista."
"Brava la maestra Riiley. Anche se non è proprio cosi Jonathan. Gli occhi non possono vedere tutto. 
Per esempio non possono vedere la musica, il suono, la poesia, il respiro, come non vedono il calore e il piacere. Altrettanto il rumore della pioggia, del vento, delle onde che frangono. Che dire poi del canto delle balene, del cinguettio degli uccelli e del mormorio del mare? Del tuonar di Giove Pluvio o di un maroso la sua furia? Ma sopratutto non vedono il vero agitarsi della vita: l'amore e le sue emozioni. Ecco piccolo Jonathan, di tutto ciò gli occhi non vedono che le relative manifestazioni del loro agire. Ad esempio un forte vento che colpisce una fragile canna e la spezza.
"Che cosa è l'amore nonno?"
"Domanda da forte capogiro figliolo. E tu non vuoi ch'io cada per questo, vero?"
"No di certo nonno."
Avrai tempo per sapere e conoscere dell'amore. Devi crescere qualche numero in più di scarpe, caro nipotino. Guarda lassù Jonathan. Lassù tu vedi un universo di corpi celesti. E lo vedi come lo vedono tutti gli occhi del mondo. Anche di coloro che un giorno ipotizzarono si sia formato da una scintilla chiamata Bing Bang: l’esplosione che generò l'universo. Ma l'attimo prima di quella indecifrabile esplosione, resta tutt'ora un mistero. E pure i misteri non si vedono. Ecco, così è l'amore."
"Allora  nonno il mondo è forse cieco?"
"Non del tutto, ma in gran parte. Nei suoi limiti, all'uomo è stato concesso di vedere tutto il possibile materiale. Anche lontano. Guarda ancora lassù Jonathan. Quante stelle vedi brillare?"
"Tante nonno. Tante."
"Già. Tante. Eppure non possiamo vederle tutte. Sia per la loro magnitudine, sia per loro lontananza. A volte anche la più vicina. Come la faccia nascosta della luna."
"Magnitudine? Che cosa è nonno?"
"E' la misura convenzionale che determina la luminosità dei corpi celesti."
"Wow! Quante cose sai nonno. Comunque la luna non è una stella, vero?"
"Vero. Però splende ugualmente per grazia del sole. In questa notte chiara e profonda tu vedi  ovunque il suo biancheggiare e non la sua vera luce. Così io vedo te e tu vedi me."
"Allora tu sei la luce nonno?"
"Come tu lo sei per me, caro Jonathan. Ora andiamo figliolo. La mamma ci chiama. Fra poche ore è Natale."